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domenica 26 giugno 2022

IL 17 GIUGNO 2022 SI E' SVOLTO, A MILANO, IL CONGRESSO NAZIONALE DELL'AGL. ROBERTO FASCIANI CONFERMATO SEGRETARIO GENERALE PER I PROSSIMI QUATTRO ANNI. ELETTO IL NUOVO COMITATO DIRETTIVO NAZIONALE DELL'AGL.

Il Segretario Generale ha, nella sua relazione, approvata all'unanimità dal Congresso, illustrato il ruolo del lavoro alla luce degli eventi storici occorsi quali la pandemia ed il conflitto che sta sconvolgendo l’Ucraina. Il tessuto produttivo nazionale è chiaramente scosso per non dire declinante ed il lavoro deve trovare all’interno di questo contesto un nuovo ruolo ed un nuovo significato, anche con riferimento all’Europa. Infortuni sul lavoro, precarizzazione, quarta rivoluzione industriale, globalizzazione sono questioni fondamentali. Il sindacato dovrà fare pesare le istanze sociali, ma ancora una volta ribadisce il Segretario Generale, occorre avere una prospettiva europea. I sindacati tradizionali e organizzati non sono in grado di ovviare a molti problemi del mondo del lavoro. La situazione politica non aiuta, in particolare per la perenne litigiosità dei partiti e lo stato di continua campagna elettorale in cui versa la politica nazionale. Il Governo Draghi aveva un mandato limitato, siamo in una fase di passaggio. Le forze sociali devono proporsi costruttivamente. Ma la continua dinamica politica non consente di risolvere i problemi perché non esistono forze stabili di riferimento. Sono state attuate misure valide quali il reddito di cittadinanza ma tale misura non ha risposto alle esigenze di lavoro e produttive. La situazione economica si sta aggravando con l’inflazione, il caro vita, la scarsità energetica. Come sindacato l’AGL, deve essere conflittuale ma anche capace di utilizzare a beneficio dei lavoratori le situazioni favorevoli dal punto di vista contrattuale. Non esistono in Italia politiche del lavoro ed industriali ed il mondo dell’imprenditoria è in crisi. Alcune questioni nazionali sono ancora irrisolte: la crisi del mezzogiorno, ad esempio. L’Italia deve operare una svolta in questioni essenziali: l’ambiente, le fonti dell’energia, l’investimento su formazione ed istruzione, sul lavoro femminile. Occorre maggiore impegno nel sindacato, ma l’organizzazione si è mossa bene in particolare attraverso il patronato ed il centro di assistenza fiscale. Stiamo lavorando bene rispetto alle forze ed alle dimensioni dell’organizzazione. A Milano e in diverse zone del Paese il sindacato inizia ad essere conosciuto. L’obiettivo però è diffondere capillarmente l’organizzazione su tutto il territorio nazionale. Importante è tenere presente che numerosi soggetti si sono rivolti all’organizzazione ed hanno trovato ascolto e competenza.

mercoledì 29 aprile 2020

Avv. Andrea Ferrario: COVID19 E RESPONSABILITA' DATORIALE

                               Avv. Andrea Ferrario

studio legale avvocato Andrea Ferrario
via Emilio Morosini n. 24 - 20135 Milano 
tel 02 5454378  fax 025460549
Socio AGI - Avvocati Giuslavoristi Italiani
www.giuslavoristi.it



La “portata pervasiva” dell'obbligo di protezione dei lavoratori alla prova del Covid-19

24 Aprile 2020 | Andrea FerrarioResponsabilità del datore di lavoro
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SOMMARIO |

Premessa | La disciplina di riferimento | L'emergenza epidemiologica e i nuovi possibili scenari | La prospettiva datoriale | La posizione del lavoratore | Conclusioni |



Premessa
La recente emergenza sanitaria legata alla diffusione pandemica del c.d. coronavirus sollecita, oltre al resto, un ampio spettro di spunti problematici e operativi riguardanti il tema della sicurezza dei lavoratori e dei connessi - stringenti - obblighi di prevenzione del rischio biologico generalizzato incombenti sul datore di lavoro. Più in particolare, i nodi critici e di discussione fin qui emersi con maggiore ricorrenza attengono alle specifiche strategie formali e pratiche da adottarsi a cura della figura datoriale. Ciò sia in relazione al rafforzamento delle condotte prevenzionistiche e al loro coordinamento con quelle già in atto, sia con riguardo all'adozione di nuovi presidi di sicurezza e metodologie di lavoro commisurati all'emergenza, con particolare riferimento allo strumento già da tempo espressamente disciplinato nel nostro ordinamento (artt. 18-23, l. 22 maggio 2017, n. 81) del c.d. smartworking (su tale ultimo punto, cfr., in particolare, L. Pazienza, “Il lavoro agile, c.d. smartworking, nel periodo di emergenza da coronavirus: forme di tutela del lavoratore dipendente”, in questa Rivista, 25 marzo 2020). L'insidiosità dell'urgenza epidemiologica e la eventualità che essa possa dilatarsi nel tempo, schiudono tuttavia anche ulteriori interrogativi e piani di analisi.
La sussistenza di un grave rischio biologico incombente in modo diffuso e pressoché indifferenziato su qualunque organizzazione di lavoro, renderà invero opportuno un attento scrutinio circa l'impatto di questa nuova tipologia di rischio sul vigente sistema della colpa datoriale e sul correlato sistema risarcitorio e di tutela del lavoratore. In questa ottica l'attuale latitudine, già molto ampia, degli obblighi datoriali di prevenzione e sicurezza e, per contro, la necessità che un eventuale danno a carico del lavoratore non venga comunque lasciato là dove è caduto, imporranno forse soluzioni nuove o comunque ispirate a grande prudenza e equilibrio. Con il duplice obiettivo di non amplificare in misura insostenibile i doveri datoriali di protezione, la cui portata è stata plasticamente definita “pervasiva” (Cass. civ., sez. Lav., 25 novembre 2019, n. 30679) e di assicurare nel contempo, e se del caso ampliare, l'effettività degli strumenti di tutela a beneficio del lavoratore.
La disciplina di riferimento
La norma base in tema di sicurezza sul lavoro è, come noto, la previsione di cui all'articolo 2087 c.c.. La disposizione, che riflette fondamentali principi costituzionali tra i quali, in particolare, il diritto alla salute (art. 32) e  la necessità che l'iniziativa economica privata preservi la sicurezza, la libertà e la dignità della persona umana (art. 41), con speciale riguardo alla condizione del lavoro femminile e dei minori (art. 37), ha una portata semantica e precettiva molto ampia. Essa esprime in primo luogo un enunciato generale, che si articola poi in concreto nell'ambito della complessa disciplina speciale antinfortunistica, di cui rappresenta uno dei principali capisaldi il d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro). L'art. 2087 c.c. svolge però, al tempo stesso, una fondamentale funzione di chiusura del sistema di sicurezza e prevenzione, imponendo all'imprenditore il rispetto, non soltanto delle misure espressamente imposte dal sistema positivo, ma anche di quelle dettate dalle buone prassi, dall'esperienza e dalla tecnica nonché dalla comune prudenza (v., ex multis, Cass. civ., 4 giugno 2019, n. 15167). E, ancora più in generale, di quelle che si rendono “necessarie” in vista dei rischi potenziali o in atto nell'ambito dello specifico contesto lavorativo. Con l'esplosione dell'emergenza  epidemiologica a questa disciplina si è quindi aggiunta una nutrita serie di provvedimenti legislativi di vario rango finalizzati al suo contrasto, contenenti anche svariate disposizioni prevenzionistiche, completate poi da accordi collettivi tra le Parti Sociali. Questi ultimi, pur dotati di diversa valenza e con l'efficacia propria del relativo strumento, hanno ulteriormente corredato il dispositivo con specifico riferimento alla sicurezza degli ambienti lavorativi. Profilo questo peraltro già ampiamente disciplinato anche da disposti normativi precedenti, benché in una prospettiva differente (si veda, ad esempio, in tema di dispositivi di protezione individuale, l'art. 18, comma1, lett. d del citato d.lgs. 81/2008). Di particolare rilievo, tra i provvedimenti dell'esecutivo, i successivi DPCM dell'8, 9, 11 e 22 marzo 2020, i D.L. n. 9 del 23 febbraio 2020, n. 18 del 17 febbraio 2020, n. 18 del 17 marzo 2020, oltre ad ulteriori misure contingenti o di dettaglio emanate sia dallo stesso governo centrale che dalle amministrazioni locali. In ambito confederale merita invece una specifica menzione il Protocollo del 14 marzo 2020 condiviso tra organizzazioni datoriali e sindacali e inteso a regolare in concreto le “misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”.  Tale ultimo documento, la cui cogenza è stata correttamente revocata in dubbio (cfr. sul punto, P. Pascucci, “Sistema di prevenzioni aziendale, emergenza coronavirus ed effettività”, in Giustizia Civile.com, 17 marzo 2020) appare peraltro di grande rilievo pratico, rappresentando una sorta di ampio e assai dettagliato decalogo operativo che, unitamente ad altri strumenti analoghi “generalisti” elaborati nel corso dell'emergenza  (tra i tanti, il “Decalogo”del 24 febbraio 2020, curato dall'ISS e dal Ministero della Salute) potrà forse utilmente affiancare le disposizioni legislative e regolamentari, come autorevole - ancorché non direttamente impegnativo - parametro esterno per l'individuazione di un livello minimo e standardizzato di sicurezza dell'ambiente di lavoro.
L'emergenza epidemiologica e i nuovi possibili scenari
Come si accennava dianzi, il dilagare dell'epidemia e la eventualità che essa si converta, dopo la fase di picco, in un rischio biologico generico con un trend ridimensionato ma anche più duraturo, pone talune prime questioni incidenti sul  quadro complessivo dei doveri e della responsabilità dei datori di lavoro. Ma solleva anche taluni e in parte inediti interrogativi circa il possibile impatto concreto che la stessa emergenza avrà sul sistema di garanzie a tutela dei lavoratori. Entrambe le tematiche non possono all'evidenza, almeno in questa prima fase, che essere abbozzate  in un'ottica necessariamente ipotetica o teorica, di prima lettura. Alla messa a punto di una più efficace e rigorosa valutazione di impatto del fenomeno manca infatti per ora l'imprescindibile complemento di quelle verifiche “sul campo” alle quali assisteremo nei mesi a venire e che, con ogni probabilità, daranno corpo al futuro dibattito scientifico e tecnico.  Pur in vista di questa doverosa premessa  metodologica, veniamo dunque al primo dei temi di riflessione  in evidenza, afferente cioè alla posizione datoriale.
La prospettiva datoriale
Sotto questo primo profilo è ragionevole attendersi che l'emergenza epidemiologica e le sue verosimili sequele amplieranno in modo tutt'altro che trascurabile il sistema dei doveri di sicurezza incombenti sui datori di lavoro a tutela dei propri dipendenti. In questa prospettiva vanno intanto annoverati gli obblighi meramente formali (a tale riguardo sembra opportuno ricordare incidentalmente che non sembra ad oggi definitivamente risolta la questione in ordine alla sussistenza di un obbligo di aggiornamento del DVR ex art. 29, comma 3,d.lgs.n. 81/2008, cfr. sul tema A. Rossi, Al lavoro in sicurezza ai tempi del Covid-19, ne ilgiuslavorista.it, 23 marzo 2020) ai quali si aggiungono quelli operativi di comportamento attivo, adattamento e compliance con i vari obblighi prevenzionistici posti dalla disciplina emergenziale e non. Ma a prescindere dall'assolvimento di questi obblighi e in considerazione della natura alquanto subdola e pervasiva di questo particolare rischio biologico, bisogna soprattutto chiedersi in presenza di quali condizioni il dovere datoriale di prevenzione possa dirsi davvero - in questo mobile e del tutto inedito scenario - compiutamente assolto e ragionevolmente pretensibile e fino che punto e con quali implicazioni possa esser individuata una posizione di effettiva responsabilità datoriale. Come si accennava in premessa, anche talune recenti decisioni di legittimità hanno declinato l'obbligo di prevenzione e sicurezza datoriale in termini di particolare rigore ed ampiezza. Secondo la recente pronuncia della Suprema Corte, (Cass. civ., n. 30679/2019 cit.), l'assetto della colpa andrebbe collocato “all'interno di un quadro di fondo secondo cui chi organizza e pone in essere un'attività rischiosa, è tenuto a predisporre quanto necessario per evitare pregiudizi a terzi”.  Da qui, tenuto anche conto che l'organizzazione lavorativa è espressione di un “interesse proprio del datore di lavoro”,  la necessità che i presidi di sicurezza risalgano alla “responsabilità primaria datoriale” e che dunque l'obbligo datoriale di protezione rivesta in questo ambito una “portata pervasiva”.
Gli estensori del dictum dianzi menzionato e un'ancora più recente decisione di legittimità (Casss. civ., sez. lav., sent. 11 febbraio 2020, n. 3282) nel riconoscere all'art. 2087 c.c. una fondamentale funzione “dinamica” rispetto alla tutela della sicurezza, escludono nel contempo a chiare lettere che tutto ciò valga ad annunciare un superamento del dogma della responsabilità per colpa (e ancor meno, si potrebbe aggiungere, che ciò equivalga ad un'adesione alle note teoriche anglosassoni sul c.d. rischio di impresa). Ciò nondimeno, la eccezionalità e la non ancora compiuta conoscenza scientifica del nuovo rischio epidemiologico impongono forse una riflessione sulla effettiva sostenibilità, quanto meno rispetto alle specifiche sfide poste da una tale emergenza, di un modello di responsabilità datoriale colposa, ma “pervasiva” o “dinamica” che dir si voglia. E che rischia tuttavia, soprattutto in realtà organizzative medio-piccole, di produrre effetti assai gravosi e forse indesiderabili. Una delle principali criticità, di cui si darà conto anche nella diversa prospettiva del lavoratore, discende ad avviso di chi scrive dalla estrema difficoltà, già sul piano eziologico, di ricollegare con accettabile grado di certezza l'eventuale contrazione della patologia ad un'effettiva occasione di lavoro. Secondo i primi approdi della ricerca scientifica, l'agente patogeno Covid-19 è caratterizzato da un accentuato grado di infettività e dunque potrebbe risultare difficoltoso in concreto ricondurne la effettiva insorgenza ad una precisa fonte di contagio. La questione epidemiologica e eziopatogenetica verrà evidentemente dissodata in futuro negli ambiti clinici e medico-legali pertinenti. Resta però il fatto che - che come vedremo anche più avanti - la riconduzione della patologia ad uno specifico vettore infettivo e dunque ad una possibile “occasione di lavoro”, se forse più agevole in presenza di un rischio specifico, come ad esempio in relazione ad una professione sanitaria, potrebbe diventare assai più aleatoria in presenza di un assetto lavorativo connotato da rischio generico. Vale a dire di un rischio assimilabile a quello proprio di una qualsiasi altra interazione sociale in contesto familiare, ludico, associativo, relazionale etc. A questa prima considerazione si potrebbe aggiungere un ulteriore spunto problematico, in questo caso connesso più da vicino al tema della latitudine dei doveri prevenzionistici propri del datore di lavoro. La particolare insidiosità che sembra connotare questa affezione virale potrebbe non essere sufficientemente contrastata financo dalla più diligente adozione dello specifico pacchetto di misure “nominate” imposte dai protocolli dianzi citati, lasciando residuare possibili aree di rischio e di responsabilità oggi ancora non esaurientemente mappate. Si inserisce altresì in questa stessa prospettiva la oggettiva difficoltà di monitoraggio costante delle condotte degli operatori (sul punto cfr. Cass. civ., n. 3282/2020 cit.) e dunque il punto della valenza che potrebbe assumere in questo contesto (si pensi  banalmente all'obbligo di distanziamento o di lavaggio delle mani) il principio di autoresponsabilità del lavoratore e dell'incidenza dell'istituto del concorso di colpa di cui all'art. 1227 c.c.. Ricordiamo infine, per completare il quadro anche attraverso il prisma processuale, il particolare assetto del riparto degli oneri probatori in tema di responsabilità ex art. 2087 c.c. Costituisce ormai ius receptum il principio secondo il quale, mentre spetta al lavoratore provare la nocività dell'ambiente di lavoro e la ascrivibilità a questa e ad un particolare fattore di rischio del danno alla salute, incombe invece sul datore l'onere di dimostrare di aver adempiuto il proprio obbligo di prevenzione avendo adottato “… non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore  … ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità del rischio” (Cass. civ., 6 novembre 2019, n. 28516). Ed è proprio in relazione a tali “altre misure”, non determinate, che in un contesto così sfuggente potrebbe risultare particolarmente gravoso il carico probatorio dell'imprenditore. Questi messo a confronto con una tipologia di rischio inusuale, quanto impalpabile e generalizzata, che rischia di convertire  il relativo onere processuale in una vera e propria probatio diabolica.  
La posizione del lavoratore
Come in una sorta di immaginario gioco di specchi, le principali criticità dianzi riassunte potrebbero ritorcersi anche in danno del lavoratore, evidenziando in particolare il rischio – parallelo – di possibili vuoti di tutela. Occorre a tale riguardo premettere che, assai opportunamente, il Legislatore ha voluto chiarire (art. 42, comma 2, del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, c.d. decreto “Cura Italia”), in riferimento sia al lavoro privato che pubblico, che l'infezione da Covid-19 di cui sia accertata la riconducibilità ad “occasione di lavoro” deve intendersi equiparata ad un normale infortunio sul lavoro e dunque essere sussumibile nella medesima disciplina. In questa prima prospettiva la copertura assicurativa antinfortunistica e la relativa garanzia indennitaria sembrerebbero assoggettate ad un regime tendenzialmente meno rigoroso rispetto a quello civilistico generale. Un recente documento di INAIL (nota 17 marzo 2020, n. 3675) con particolare riguardo, peraltro, agli operatori sanitari chiarisce come la tutela assicurativa si estenda anche alle ipotesi “… in cui l'identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti problematica”, discendendone che “… ove l'episodio che ha determinato il contagio non sia percepito o non possa essere provato dal lavoratore, si può comunque presumere che lo stesso si sia verificato in considerazione delle mansioni/lavorazioni e di ogni altro indizio che in tal senso deponga”. Ma questo apparente favor, potrebbe però essere – appunto – solo tendenziale e correlato all'esposizione del rischio tipico, specifico proprio degli operatori sanitari. Ciò può dunque dirsi anche in relazione alle altre tipologie di addetti, esposti ad un rischio generalizzato e dunque di assai più complessa individuazione, in un'ottica anche solo probabilistica? Il quesito appare tanto più stringente se, dal campo del meccanismo assicurativo, ci spostiamo nell'ambito della colpa civile, il cui attuale statuto – con particolare riguardo alla sua proiezione processuale – abbiamo dianzi tratteggiato nei suoi momenti essenziali. Così come per il datore, potrebbe infatti risultare in concreto quanto mai arduo anche per il lavoratore assolvere alla parte di onere probatorio posta a proprio carico. L'universalità del relativo rischio biologico, potenzialmente disseminato in ogni ambito di interazione sociale, potrebbe rendere assai difficile ricollegare causalmente l'eventuale evento avverso ad una specifica fonte di rischio, così dimostrando la effettiva nocività dell'ambiente lavorativo. Come evidenziato nel documento INAIL testé citato l'identificazione della fonte di contagio potrebbe in sostanza risultare in un numero verosimilmente ampio di casi un'operazione alquanto “problematica” se non addirittura impossibile. Ciò che escluderebbe il lavoratore infortunato (e i propri superstiti) da quella più ampia tutela garantita, in particolare, dallo strumento risarcitorio civile. Vero è che, come ampiamente riconosciuto, un'inadeguata struttura di prevenzione del rischio o la carenza di idonei comportamenti attivi del datore di lavoro potrebbe legittimare il lavoratore ad avvalersi dello strumento di autotutela di cui all'art. 1460 c.c. e dunque rifiutare la propria prestazione lavorativa. E ciò soprattutto in realtà aziendali rispetto alle quali, per dimensioni, capacità economica ed organizzativa, non sia in concreto esigibile un livello di sicurezza di altissimo standard.
Ma è parimenti difficile negare che la straordinaria diffusività e le caratteristiche epidemiologiche di questa affezione renderanno alquanto complesso ogni procedimento di rigorosa ricostruzione causale. Mettendo - anche da questo lato della barricata - a dura prova l'efficienza del noto principio del “più probabile che non”, soprattutto in una prima fase di comprensione e mappatura scientifica del fenomeno e delle relative leggi di copertura.  
Conclusioni
Come accennato dianzi le peculiari caratteristiche di questa emergenza epidemiologica, senza precedenti per diffusione e insidiosità, potranno verosimilmente mettere in tensione anche i termini ad oggi noti della responsabilità datoriale, allargando in modo importante e in larga parte inedito la già ampia sfera di operatività degli obblighi di sicurezza e prevenzione incombenti sull'imprenditore. Allo stesso tempo le presumibili difficoltà di ricostruzione causale del supposto evento infortunistico renderanno meno facilmente attingibile e talora forse impossibile per il lavoratore la prova di una effettiva nocività dell'ambiente di lavoro. Sarà dunque imprescindibile, almeno in una fase iniziale e di assestamento, individuare soluzioni di grande equilibrio e oculatezza. Non potendosi, da un lato, esigere dal datore di lavoro la predisposizione di un ambiente “a rischio zero”, né pretendersi, in questo momento storico attraversato da una pandemia di dimensioni universali “l'adozione di strumenti atti a fronteggiare qualsiasi evenienza che sia fonte di pericolo” (Cass. civ., n. 3282/2020 cit.). Ma non potendosi neppure, per altro verso, indebolire i meccanismi acquisiti di tutela del lavoratore sacrificandoli agli interessi economici e della produzione. L'eventuale danno, dunque, non potrà  - come si diceva - essere lasciato in alcun caso là dove è caduto.
Avv. Andrea Ferrario
studio legale avvocato Andrea Ferrario
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tel 02 5454378  fax 025460549
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mercoledì 21 settembre 2016

ROBERTO FASCIANI DIRETTORE DI EUROPE CHINESE NEWS

                                a destra, la Presidente di MILAN HUAXIA GROUP, Angela Zhou

Roberto Fasciani è il nuovo Direttore di EUROPE CHINESE NEWS.

“EUROPE CHINESE NEWS” secondo il Sole 24 Ore (21. 3.2012), è “la più importante testata in ideogrammi scritta e stampata in Italia”. Fondata nel 2004, distribuita in Italia e in Europa, la pubblicazione ha anche una versione online in cinese sul sito http://www.ozhrb.eu e in inglese sul sito http://www.ihuarenbao.com/en/ . La Presidente della Società editrice è Angela Zhou, imprenditrice ben conosciuta, anche fondatrice e Presidente di MILAN HUAXIA GROUP, società a capo del gruppo HUAXIA, una delle più importanti imprese cinesi in Italia. Il suo gruppo ha interessi in molti settori fra cui: media on e offline, media center, e-commerce globale, organizzazione di eventi, studi di consulenza, import ed export di beni di lusso e di prodotti alimentari, hotel, enoteche, ristoranti cinesi e occidentali, food & beverage, catering e ospitalità, agenzie di viaggi, società di consulenza per investimenti , promotore di mostre, studi legali, società di assicurazione, centri culturali e altri modelli multi-business. MILAN HUAXIA GROUP è una delle aziende di proprietà di imprenditori cinesi più influenti in Italia e una tra le più importanti società cinesi a livello internazionale.

lunedì 3 febbraio 2014

AGL - SERVIZI PER MALATTIE PROFESSIONALI

AGL
Alleanza Generale del Lavoro
Via Antonio Fogazzaro 1 (scala sin.,3° piano)
20135 MILANO
per appuntamento: tel. 3349091761

Assistenza al lavoratore che voglia farsi riconoscere la malattia professionale:

  1. accertamento che la malattia sia connessa alla attività lavorativa
  2. indirizzamento a medico legale a condizioni agevolate
  3. avviamento della domanda per ottenere l'indennizzo o il risarcimento
  4. azioni per impedire che il datore di lavoro faccia di tutto per nascondere la malattia professionale
  5. qualora le decisioni dell'INAIL fossero insufficienti o inadeguate, preparazione ricorsi amministrativi e indirizzamento a legali per ricorsi a condizioni agevolate
  6. monitoraggio dell'evoluzione della malattia professionale e, se necessario, assistenza per chiedere una revisione per aggravamento delle condizioni di salute
  7. sostenere, tramite avvocati convenzionati, la causa davanti al Tribunale qualora la salute non consenta di continuare a svolgere la mansione
  8. richiesta al datore di lavoro del risarcimento di quanto non indennizzato dall'INAIL

mercoledì 4 dicembre 2013

7 LAVORATORI CINESI MORTI: I MAGISTRATI: “4 INDAGATI CINESI,PER ORA, MA LE INDAGINI POTREBBERO ALLARGARSI AD ALTRI SOGGETTI...”. SPERIAMO!

                                                            (foto da www.ansa.it)

GIOVANNINI (Ministro del Lavoro): "MAI PIU' SIMILI EPISODI" -"Simili episodi non possono e non debbono ripetersi". Lo ha detto oggi il ministro del Lavoro Enrico Giovannini, rifererendo alla Camera sulla strage di Prato . Purtroppo è un'ulteriore dimostrazione delle conseguenze di condotte volte a negare tutele legali ai lavoratori". "Non si può abbassare la guardia nell'opera di prevenzione e controllo sulla normativa di settore". A Prato, ha aggiunto il ministro, che è "un importante distretto tessile", risulta difficile "l'operazione di controllo e prevenzione". Giovannini ha poi spiegato che c'è una "programmazione a cadenza settimanale di interventi mirati e coordinati con gruppo interforze". Resta comunque una "condizione di insostenibile e illegale sfruttamento". 
29 NOVEMBRE 2013: ECCO QUANTO AVEVA APPENA RESO NOTO IL MINISTERO DEL LAVORO (NON SI CAPISCE BENE RELATIVAMENTE A QUALE PIANETA) :
“Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Ufficio Stampa
Lavoro, irregolari metà delle aziende ispezionate, in aumento lavoro nero, finte collaborazioni e partite IVA

Lavoro irregolare sotto la lente degli ispettori. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali comunica i risultati del l'attività di vigilanza sulla mancata applicazione delle norme previdenziali e della prevenzione e sicurezza del lavoro.
Nel periodo gennaio-settembre 2013 sono state ispezionate 101.912 aziende, in lieve aumento (0,1%) rispetto allo stesso periodo nell'anno precedente; in 56.003 aziende, pari al 55% di quelle controllate, sono stare riscontrate delle irregolarità. La costanza del numero delle aziende ispezionate scaturisce da una specifica strategia del Ministero, mirata a concentrare le verifiche verso obiettivi significativi in relazione a fenomeni irregolari di rilevanza sociale: lavoro nero, tutela dei minori, sfruttamento extracomunitari clandestini, elusione contributiva e sicurezza sul lavoro.
Le ispezioni hanno consentito di verificare 202.379 posizioni lavorative (in diminuzione del 29,3% rispetto a gennaio-settembre 2012) con l'individuazione di 91.109 lavoratori irregolari, di cui 32.548 totalmente in nero (pari al 36% dei lavoratori irregolari, con un aumento di 5 punti percentuali rispetto allo scorso anno). In 439 casi è stata riscontrata una violazione penale per impiego di lavoratori minori, mentre è stato individuato l'impiego di 816 lavoratori extracomunitari clandestini, circa il 2,5% dei lavoratori in nero, in lieve diminuzione rispetto allo stesso periodo del 2012.
Il lavoro irregolare è diffuso in tutti i settori di attività economica, tuttavia la quota del lavoro nero si annida maggiormente in agricoltura (58% degli irregolari) e nell'edilizia (43%).
Tutti gli altri fenomeni, quali ad esempio appalti illeciti, l'uso non corretto del contratto di somministrazione (7.548 numero di lavoratori coinvolti) e le violazioni della disciplina in materia di orario di lavoro (10.082 lavoratori) subiscono una decisa riduzione.
Violazioni rispetto alle norme di prevenzione e sicurezza del lavoro sono state riscontrate in 24.316 aziende, pari al 25,8% delle aziende ispezionate, con una diminuzione di 5 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2012.
Infine, nonostante gli irrigidimenti previsti dalla legge 92 del 2012, si riscontra un aumento del le "riqualificazioni" dei rapporti di lavoro, che avvengono nel caso in cui l'ispettore giudica diversamente un rapporto di lavoro, sia dipendente sia autonomo, come nel caso delle collaborazioni a progetto non genuine e delle false partite Iva. Le riqualificazioni nel periodo gennaio-settembre 2013 sono complessivamente 14.520, corrispondenti a circa il 26% dei lavoratori irregolari, con un aumento di 6 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Dal punto di vista finanziario, le sanzioni per le irregolarità riscontrate ammontano complessivamente a 78,1 milioni di euro, con una diminuzione di circa 13 milioni di euro (-14,2%) rispetto all'anno precedente.
Si allega la tabella dei dati
Roma 29 novembre 2013”

Domanda: visto che sono scattate le indagini, gradiremmo sapere nome e cognome di chi sapeva e non ha adempiuto ai suoi doveri di ufficio. E di chi, dall'alto, o non ha controllato se determinate attività ispettive venivano svolte con la dovuta incisività o si è adoperato, dati i rilevanti interessi economici italiani alla presenza di queste realtà apparentemente solo cinesi, affinchè veri controlli non venissero fatti.
E poi: in Italia gira la voce che quando viene denunciato qualcosa che non va nei luoghi di lavoro è vero che le ispezioni vengono disposte ma molte volte avvisando, da parte di funzionari e dirigenti pubblici infedeli, i datori di lavoro interessati con congruo anticipo in modo che possano salvarsi.
Domandiamo alle Forze dell'Ordine e alla Magistratura: sono mai state fatte indagini e intercettazioni sulla reale consistenza di questo fenomeno? E se si trattasse di una pratica corrente, in quali reali condizioni di sicurezza opererebbero milioni di lavoratori italiani e stranieri?
Se questi sono i risultati dell'attività di vigilanza non sarebbe meglio che le relative funzioni venissero tolte a chi non le sa esercitare da decenni e, nell'ambito di una spending review, fossero affidate a soggetti più seri, ad esempio alle Forze dell'Ordine, direttamente? Chiudendo rami della Pubblica Amministrazione che da anni dimostrano di non servire a nulla (ovviamente salvaguardando il posto di lavoro solo per coloro che fino ad oggi vi hanno lavorato seriamente)?
E infine non sappiamo se chi di dovere in Italia riuscirà a perseguire gli eventuali responsabili nostri connazionali di questa sciagura ma se ciò avvenisse ci piacerebbe che venissero, per scontare la pena, affidati , per una volta, alle Autorità Cinesi......

AGL


martedì 3 dicembre 2013

COOPERATIVE: IL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETA LA FINE DELL'UNCI E DEL FONDO MUTUALISTICO PROMOCOOP

pubblicato sulla gazzetta ufficiale n.275 del 23 nov.2013

IL MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 

  Visto l'articolo 45, comma 1, della Costituzione; 
  Visto il decreto legislativo del Capo provvisorio  dello  Stato  14
dicembre 1947, n. 1577; 
  Visto il decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale
18 luglio 1975, pubblicato  per  estratto  nella  Gazzetta 

 Ufficiale
della Repubblica italiana n. 211 dell'8 agosto  1975,  con  il  quale
l'Unione  nazionale  cooperative   italiane   (U.N.C.I.)   e'   stata
riconosciuta   quale   associazione   nazionale   di   rappresentanza
assistenza e tutela del movimento cooperativo, ai  sensi  e  per  gli
effetti degli articoli  4  e  5  del  decreto  legislativo  del  Capo
provvisorio dello Stato n. 1577 del 1947,  e  ne  e'  stato  altresi'
approvato il relativo statuto; 
  Visti gli articoli 27 e 28 del decreto legislativo 30 luglio  1999,
n. 300 recante la riforma dell'organizzazione del  Governo,  a  norma
dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59,  con  i  quali  si
attribuiscono al Ministero delle attivita' produttive le funzioni  ed
i compiti gia'  di  competenza  del  Ministero  del  lavoro  e  della
previdenza sociale in materia di cooperazione; 
  Visto il decreto-legge 18  maggio  2006,  n.  181,  convertito  con
modificazioni dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, ed  in  particolare
l'articolo 1,  comma  12,  il  quale  dispone  che  la  denominazione
«Ministero dello sviluppo economico» sostituisce, ad ogni  effetto  e
ovunque  presente,  la  denominazione  «Ministero   delle   attivita'
produttive»  in  relazione  alle  funzioni  gia'  conferite  a   tale
Dicastero; 
  Visto l'articolo 1 del decreto del Presidente della  Repubblica  10
febbraio 2000, n. 361,  recante  norme  per  la  semplificazione  dei
procedimenti di riconoscimento di persone  giuridiche  private  e  di
approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto; 
  Visto l'articolo 3 del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220 ed
in particolare il comma 7, in  forza  del  quale  il  Ministro  delle
attivita'   produttive   puo'   revocare   il   riconoscimento   alle
Associazioni  nazionali  che  non  sono   in   grado   di   assolvere
efficacemente le proprie funzioni di vigilanza sugli enti cooperativi
associati; 
  Visto il decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre  2008,
n. 197, recante il regolamento di organizzazione del Ministero  dello
sviluppo economico; 
  Vista la relazione del Direttore  Generale  per  le  piccole  medie
imprese e gli enti cooperativi, allegata alla nota prot. n. 121080 in
data 17 luglio 2013, con la quale  sono  state  segnalate  perduranti
problematiche   ed   inefficienze   nell'attivita'    di    vigilanza
dell'U.N.C.I. nei confronti delle cooperative  associate,  stante  il
persistere di una conflittualita' interna circa il soggetto  titolato
all'effettiva  rappresentanza  dell'associazione,  manifestata  dalla
nomina di rappresentanti legali eletti in adunanze separate,  indette
di  volta  in  volta  da  organi  oggetto   di   contestazione,   con
deliberazioni impugnate in sede giurisdizionale che hanno determinato
pronunce difformi e non definitive, rese in sede cautelare; 
  Vista la relazione dei Sindaci dell'U.N.C.I. i quali  nel  mese  di
dicembre 2010 avevano segnalato un perdurante  stato  di  immobilita'
dell'attivita' amministrativa dell'Associazione di rappresentanza,  a
seguito del conflitto insorto in seno ai relativi  organi  statutari,
il  quale  non  consentiva  un  andamento  ordinato  della   gestione
amministrativa e associativa, con  conseguente  mancata  approvazione
del bilancio consuntivo 2009 e del bilancio preventivo  2010  nonche'
delle quote associative per l'anno 2010, atti indispensabili  per  il
corretto svolgimento della vita associativa; 
  Viste  le  risultanze  dell'attivita'  di  vigilanza   svolta   dal
Ministero nei confronti  dell'Associazione  nell'anno  2011,  che  ha
confermato  irregolarita'  gestionali   consistenti   nella   mancata
approvazione di bilanci, nelle intervenute  modifiche  statutarie  in
contrasto con le indicazioni ministeriali, nelle  ricorrenti  carenze
nella redazione dei  verbali  di  revisione  da  parte  dei  revisori
incaricati dall'U.N.C.I.; 
  Viste  le  diffide  rivolte  all'U.N.C.I.  a   disporre   specifici
correttivi   nell'organizzazione   dell'attivita'   revisionale,   da
attuarsi  mediante  programmazione  e  realizzazione   di   attivita'
formativa e di aggiornamento dei revisori, in esito alle  quali  sono
pervenute   risposte   contrastanti   dai   diversi   soggetti    che
rivendicavano, contemporaneamente ed in conflitto  tra  di  loro,  la
titolarita'    della    qualita'     di     legale     rappresentante
dell'Associazione; 
  Preso atto della corrispondenza intercorsa  con  la  Prefettura  di
Roma  -  Ufficio  territoriale  del  Governo,  la  quale  attesta  il
perpetuarsi  della  situazione  di  forte  conflitto,   dovuto   alle
contrapposte richieste di iscrizione,  quale  rappresentante  legale,
nel registro  prefettizio  delle  persone  giuridiche,  da  parte  di
soggetti diversi, legittimati a seguito di successive  pronunce,  non
definitive e non univoche, rese dal  Tribunale  Civile  di  Roma.  In
particolare,  nel  solo  ultimo  anno  risulta  che  sulla  base   di
successive  assemblee  congressuali  e  di   distinti   provvedimenti
giudiziali la Prefettura di Roma  ha  proceduto  ad  iscrivere  quale
presidente legale rappresentante prima il Cav. Pasquale Amico, poi il
Sig. Cosimo Mignogna, successivamente il Cav. Pasquale  Amico  e,  da
ultimo, in data 29 settembre 2013, il Sig. Cosimo Mignogna; 
  Vista la nota del  Sindacato  FE.S.I.C.A.,  pervenuta  in  data  13
settembre 2012, con la quale si segnala  al  Ministero  l'assenza  di
certezze circa l'effettiva titolarita'  della  rappresentanza  legale
dell'U.N.C.I., ribadita con successiva nota  dello  stesso  Sindacato
del  15  marzo  2013,  con  la  quale  si  rinnova  la  richiesta  di
chiarimenti sul soggetto titolato a rappresentare  l'Associazione  in
giudizio,  nel  procedimento  di  opposizione  al  licenziamento   di
dipendenti in servizio presso la sede nazionale di U.N.C.I.; 
  Tenuto conto delle segnalazioni e richieste di chiarimenti  rivolte
al Ministero, provenienti da enti di natura pubblica e privata presso
i  quali  l'U.N.C.I.  ha  designato  propri   rappresentanti,   circa
l'effettivita'    della    carica    di     rappresentante     legale
dell'Associazione  medesima,  stanti  le  contrastanti   affermazioni
provenienti da soggetti che assumono di essere titolati; 
  Preso atto delle numerose pronunce  rese  dal  Tribunale  di  Roma,
dalle  quali  emerge  un  insanabile  conflitto  e  la  non   univoca
individuazione  del  rappresentante  legale   dell'U.N.C.I.   ed   in
particolare: 
  - ordinanza 27  aprile  2012,  la  quale  rinvia  alla  inevitabile
convocazione  dell'assemblea   degli   associati   l'adozione   delle
decisioni necessarie per risolvere le  problematiche  verificatesi  e
ripristinare un regolare sistema amministrativo; 
  - ordinanza  collegiale  19  giugno  2012  la  quale  riconosce  la
validita' della costituzione in giudizio dell'UNCI nella persona  del
rappresentante legale p.t. Pasquale Amico; 
  - ordinanza 27 luglio 2012,  giudice  dott.ssa  Buonocore,  con  la
quale e' stato ingiunto al prof. Paolo Galligioni di "immettere Amico
Pasquale,  quale  neo   nominato   presidente   dell'U.N.C.I.   nella
disponibilita' della documentazione e dei beni  di  pertinenza  della
predetta associazione e di consentire allo stesso il  libero  accesso
alla sede dell'Ente, per l'espletamento delle funzioni di pertinenza;
astenersi dal compimento di atti ed attivita' riservate, per legge  o
per statuto, al Presidente dell'U.N.C.I. o ad  altro  diverso  organo
dell'Associazione;  astenersi  dalla  spendita  della   qualita'   di
presidente dell'U.N.C.I. nei rapporti con gli associati ed i terzi"; 
  - ordinanza 16 novembre 2012, giudice dott. Scerrato, con la  quale
e'  stata  rigettata  l'istanza   di   sospensione   della   delibera
congressuale del 24  marzo  2012  che  ha  eletto  il  Cav.  Amico  a
Presidente  dell'U.N.C.I.,  confermata   con   successiva   ordinanza
collegiale del 6 febbraio 2013; 
  - ordinanza del 10 gennaio 2013, giudice dott.ssa Dell'Orfano,  che
ha dichiarato la piena regolarita' di tutti gli  atti  prodromici  al
congresso del 24 marzo 2012, riguardante l'elezione del Cav. Pasquale
Amico quale presidente e legale rappresentante dell'U.N.C.I.; 
  - sentenza n. 16217 dell'11 giugno  2013,  depositata  in  data  22
luglio 2013, con la quale il Tribunale di Roma - III Sezione  Civile,
ha accertato che lo statuto dell'U.N.C.I. da applicare e' quello  del
2000, dichiarando  altresi'  nulla  la  deliberazione  del  Consiglio
Generale U.N.C.I. del  23  giugno  2010  con  cui  venne  fissata  la
convocazione del Congresso nazionale straordinario  dell'Associazione
ed approvato il relativo  regolamento  congressuale.  Sulla  base  di
detto provvedimento giudiziale e del congresso straordinario  del  15
luglio 2013, la Prefettura di Roma ha  provveduto  ad  iscrivere  nel
registro delle persone giuridiche il  signor  Mignogna  Cosimo  quale
presidente e legale rappresentante dell'U.N.C.I.; 
  - ordinanza del Tribunale Civile  di  Roma,  Sezione  III,  giudice
dott.ssa Libri, del 29 luglio 2013 con  la  quale  e'  stata  in  via
preliminare rilevata l'infondatezza della  eccezione  di  difetto  di
legittimazione passiva dell'U.N.C.I., rappresentata dal  Cav.  Amico,
sul presupposto della spettanza a costui della carica  di  presidente
dell'U.N.C.I., a seguito dell'elezione del 24 marzo 2012; 
  Vista la comunicazione dell'avvio del procedimento di revoca di cui
alla nota prot. n. 145274 in data 6 settembre 2013; 
  Valutate  le  argomentazioni   formulate   mediante   deposito   di
documentazione prodotta nel corso  della  accordata  audizione  delle
parti controinteressate svoltasi in data 18 settembre 2013; 
  Vista la successiva nota prot. n. 161545 in data 3 ottobre 2013 con
la quale l'Amministrazione ha comunicato la  sospensione  per  trenta
giorni, ai sensi dell'articolo 2, comma 7, della legge 7 agosto 1990,
n. 241 del termine finale del procedimento di revoca; 
  Preso atto altresi' che, successivamente alla comunicazione  del  3
ottobre  2013,  inerente  la  sospensione  del  termine  finale   del
procedimento di revoca, in data  18  ottobre  2013  veniva  richiesto
all'U.N.C.I.  un  aggiornamento  di  notizie  circa  l'attivita'   di
vigilanza svolta; 
  Preso  atto  che  nel  corso  del  procedimento  di  verifica   dei
presupposti per la revoca,  il  Cav.  Amico  ha  ribadito  l'avvenuta
assegnazione di 3.403 incarichi di  revisione  cooperativa  nell'anno
2013, con la conclusione di solo 296 di essi, ed il Sig. Mignogna  ha
dichiarato di aver autonomamente disposto  l'effettuazione  di  circa
1.500  revisioni  cooperative  dietro   segnalazione   degli   uffici
regionali dell'Associazione, restando dunque  acclarata  l'incertezza
sulla  individuazione  della  carica  di  presidente  e  di  soggetto
legittimato all'attribuzione degli incarichi di revisione; 
  Ritenuto che la  predetta  incertezza  sulla  individuazione  della
carica di presidente e di soggetto legittimato all'attribuzione degli
incarichi di revisione incide sul corretto svolgimento dell'attivita'
revisionale con possibili ripercussioni sugli esiti della stessa; 
  Valutate le dichiarazioni e le osservazioni che le due parti  hanno
reso negli incontri  tenuti  presso  la  Direzione  generale  per  le
piccole e medie imprese e gli enti cooperativi, attraverso  le  quali
e' stata ribadita  da  un  lato  l'impossibilita'  di  una  soluzione
stragiudiziale del perdurante conflitto, dall'altra la riproposizione
dello sdoppiamento delle strutture sociali ed  amministrative,  fatti
questi che rappresentano un evidente ostacolo alla corretta e  serena
gestione del rapporto associativo e revisionale  con  le  cooperative
aderenti; 
  Considerato che tale perdurante incertezza nella titolarita'  della
"governance"  associativa  ostacola  l'efficace   svolgimento   della
attivita' revisionale nei confronti degli enti cooperativi  associati
e le relazioni con i soggetti istituzionali che  hanno  rapporti  con
l'U.N.C.I.; 
  Preso atto che a causa della  conflittualita'  interna  sono  state
fissate due distinte sedi sociali, ubicate  in  luoghi  diversi,  con
conseguente indeterminatezza ai fini delle comunicazioni, notifiche e
rapporti istituzionali; 
  Considerato che la revoca del  riconoscimento  costituisce  l'unico
provvedimento previsto dalla legge come  adottabile  da  parte  della
Amministrazione,  in  presenza   di   presupposti   incidenti   sullo
svolgimento corretto ed efficiente della  attivita'  revisionale  nei
confronti delle societa' cooperative aderenti; 
  Ritenuto che sussistono i presupposti di fatto  e  di  diritto  per
l'adozione,  ai  sensi  dell'articolo  3,  comma   7,   del   decreto
legislativo 2 agosto 2002 n. 220, del  provvedimento  di  revoca  del
riconoscimento dell'associazione U.N.C.I.,  atteso  che  la  medesima
Associazione  non  risulta  essere  piu'  in   grado   di   assolvere
efficacemente alle  funzioni  di  vigilanza  sugli  enti  cooperativi
associati, ad essa demandate; 
  Considerato che  il  suddetto  riconoscimento  e'  intervenuto  con
decreto ministeriale 18 luglio 1975, adottato  ai  sensi  e  per  gli
effetti degli articoli  4  e  5  del  decreto  legislativo  del  Capo
provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577,  rilevando  dunque
sia ai fini della legittimazione allo svolgimento  dell'attivita'  di
vigilanza sia ai fini dell'acquisto della personalita' giuridica; 
  Considerate le sopravvenute modifiche  normative  (articolo  1  del
decreto del Presidente della Repubblica 10  febbraio  2000,  n.  361,
recante  norme   per   la   semplificazione   dei   procedimenti   di
riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione  delle
modifiche dell'atto costitutivo e dello  statuto  e  articolo  3  del
decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220) le quali circoscrivono  il
riconoscimento da parte di questo Ministero alla sola  legittimazione
allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza; 
  Considerato che il presente provvedimento di revoca incide su di un
riconoscimento, avvenuto in epoca antecedente alle suddette modifiche
normative, che  ha  rivestito  la  duplice  inscindibile  valenza  di
legittimazione allo svolgimento  dell'attivita'  di  vigilanza  e  di
acquisto della personalita' giuridica, e dunque deve valere per  ogni
effetto conseguente allo stesso riconoscimento; 
  Visto l'articolo 11, comma 1, della legge 31 gennaio 1992,  n.  59,
il quale prevede che le  associazioni  nazionali  di  rappresentanza,
assistenza e tutela del movimento cooperativo, riconosciute ai  sensi
dell'articolo 5 del citato decreto legislativo del  Capo  provvisorio
dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni,  e
quelle riconosciute in base a leggi  emanate  da  regioni  a  statuto
speciale possono costituire fondi mutualistici per la promozione e lo
sviluppo della cooperazione, i quali  possono  essere  gestiti  senza
scopo di lucro da societa'  per  azioni  o  da  associazioni  e  sono
alimentati ed incrementati ai sensi dei commi  4  e  5  del  medesimo
articolo 11; 
  Considerato che l'U.N.C.I.  ha  costituito  un  fondo  mutualistico
gestito da Fondo per la promozione e lo sviluppo della cooperazione -
Promocoop S.p.A.; 
  Ritenuto di dover disporre circa gli  aspetti  conseguenziali  alla
revoca del riconoscimento dell'U.N.C.I.; 

                               Decreta 

                               Art. 1 

  1. Ai sensi dell'articolo 3, comma 7,  del  decreto  legislativo  2
agosto 2002, n. 220, e' revocato ad ogni  effetto  il  riconoscimento
dell'Unione  nazionale   cooperative   italiane   (U.N.C.I.),   quale
associazione nazionale  di  rappresentanza  e  tutela  del  movimento
cooperativo, di cui al  decreto  del  Ministro  del  lavoro  e  della
previdenza sociale 18 luglio 1975, adottato ai sensi degli articoli 4
e 5 del decreto legislativo  del  Capo  provvisorio  dello  Stato  14
dicembre 1947, n. 1577. 

                               Art. 2 

  1. A far data dalla pubblicazione del presente decreto,  l'U.N.C.I.
non  e'  piu'  legittimato  a  ricevere  alcun  versamento   di   cui
all'articolo 8 del decreto legislativo  del  Capo  provvisorio  dello
Stato n. 1577 del  1947,  a  titolo  di  contributo  per  l'attivita'
revisionale da parte delle cooperative  e  degli  enti  mutualistici,
quali individuati ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo n.
220 del 2002. 
  2.  A  far  data  dalla  suddetta  pubblicazione,  all'associazione
U.N.C.I. e' fatto  divieto  di  accettare  versamenti  relativi  alle
fattispecie di cui al comma 1, pena le responsabilita'  configurabili
alla stregua della normativa vigente. 
  3.  Con  successivo  provvedimento  saranno  stabiliti  criteri   e
modalita'  per  la  definizione  dei  rapporti  pendenti  e  per   la
individuazione delle risorse  residue,  acquisite  per  le  attivita'
revisionali, da versare al Bilancio entrata dello Stato, Capo  XVIII,
Capitolo 3592. 

Art. 3 

  1. A far data dalla pubblicazione del presente  decreto,  cessa  la
legittimazione della societa' Fondo per la promozione e  lo  sviluppo
della  cooperazione  -  Promocoop  S.p.A.,  che  gestisce  il   fondo
mutualistico costituito dall'U.N.C.I. ai sensi dell'articolo 11 della
legge 31 gennaio 1992, n. 59, ad accettare versamenti  e  devoluzioni
di cui al medesimo  articolo  11,  commi  4  e  5,  rivenienti  dalle
societa' cooperative e dagli enti mutualistici quali  individuati  ai
sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 220 del 2002. 
  2. A far data dalla suddetta pubblicazione, alla societa' Fondo per
la promozione e lo sviluppo della cooperazione - Promocoop S.p.A.  e'
fatto divieto di accettare versamenti  e  devoluzioni  relativi  alle
fattispecie di cui al comma 1, pena le responsabilita'  configurabili
alla stregua della normativa vigente. 
  3.  Con  successivo  provvedimento  saranno  stabiliti  criteri   e
modalita'  per  la  definizione  dei  rapporti  pendenti  e  per   la
individuazione delle risorse residue, acquisite per le  finalita'  di
cui al citato articolo 11,  da  versare  al  Bilancio  entrata  dello
Stato, Capo XVIII, Capitolo 3592. 
  Il presente decreto sara' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana. 
  Avverso il presente provvedimento  e'  ammesso,  entro  60  giorni,
ricorso giurisdizionale dinanzi al Tribunale amministrativo regionale
per il Lazio ovvero,  entro  120  giorni,  ricorso  straordinario  al
Presidente della Repubblica ai sensi del decreto del Presidente della
Repubblica n. 1199 del 1971. 
    Roma, 22 novembre 2013 

                                                Il Ministro: Zanonato