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domenica 18 novembre 2012

CASSAZIONE: Presenza di amianto e giustificato rifiuto di lavorare

(nella foto www.funpop.com: PHIL RUDD, batterista della band heavy-metal AC/DC)



Dal sito della Direzione Territoriale del Lavoro di Modena
http://www.dplmodena.it/  :


"""Con sentenza n. 18921 del 5 novembre 2012, la Corte di Cassazione ha affermato che che è legittimo il comportamento dei dipendenti che, in presenza di amianto nell’azienda, timbrano il cartellino ma si rifiutano di lavorare.

La Suprema Corte ha ritenuto che "il comportamento dei lavoratori che avevano marcato il cartellino di presenza, ma si erano poi rifiutati di lavorare nelle zone a rischio […] esprimesse una giustificata reazione all’altrui inadempimento ai sensi dell’articolo 1460 del c.c., implicitamente valutando come irrilevante il fatto che, dopo, la timbratura dell’orologio marcatempo, i lavoratori medesimi si fossero trattenuti nelle vicinanze, senza recarsi ai singoli reparti di produzione, ma neppure allontanandosi dall’officina"."""

lunedì 5 novembre 2012

Cassazione, Vessato sul lavoro? "Risarcibile anche senza mobbing"

Dal sito dell'AGI
www.agi.it

http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201211051559-ipp-rt10184-cassazione_vessato_sul_lavoro_risarcibile_anche_senza_mobbing

"""""""""(AGI) - Roma, 5 nov. - Un lavoratore ha diritto a un risarcimento danni per aver subito comportamenti "vessatori e mortificanti", anche se non viene raggiunta la prova che si tratti di vero e proprio mobbing. A sancirlo e' la Cassazione, esaminando il caso di una donna, dipendente di una farmacia, la quale aveva addirittura tentato il suicidio per la depressione conseguente alle "azioni vessatorie" ai suoi danni da parte del datore di lavoro e di colleghi, che l'avevano portata infine al pensionamento anticipato. "Nelle ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrita' psico-fisica in conseguenza di una pluralita' di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria - si legge nella sentenza n.18927 della sezione lavoro della Suprema Corte - il giudice del merito, pur nella accertata insussistenza di un intentopersecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall'interessato e quindi dalla configurabilita' del mobbing, e' tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati, esaminati singolarmente ma sempre in relazione agli altri, pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio, possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili alla responsabilita' del datore di lavoro che possa essere chiamato a risponderne, ovviamente nei soli limiti dei danni a lui imputabili". Sulla base di questo principio di diritto, la Corte d'appello di Napoli, che aveva in un primo tempo dato torto alla donna, dovra' riesaminare il caso. La dipendente si era rivolta ai giudici denunciando "continui rimproveri", rapporti "difficili" con una collega e una "precisa strategia persecutoria posta in essere dai titolari della farmacia per indurla alle dimissioni".
Secondo gli 'ermellini', il suo ricorso e' fondato: "Se anche le diverse condotte denunciate dal lavoratore non si ricompongano in un unicum e non risultano, pertanto, complessivamente e cumulativamente idonee a destabilizzare l'equilibrio psico-fisico del lavoratore o a mortificare la sua dignita' - si spiega nella sentenza depositata oggi - cio' non esclude che tali condotte o alcune di esse, ancorche' finalisticamente non accomunate, possano risultare, se esaminate separatamente e distintamente lesive dei fondamentali diritti del lavoratore, costituzionalmente tutelati".""""""""".